Il Partigiano Dartagnan

Alberto Cotti

La lotta di liberazione nei ricordi
di un partigiano di San Giovanni in Persiceto

Comune di San Giovanni in Persiceto

 

 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

Presentazione del Sindaco di Persiceto
 

Da qualche anno, intorno all'aprile e alla Liberazione, il Comune promuove memorie, pubblicazioni riguardanti gli avvenimenti del '45, la guerra e soprattutto la fine della guerra. Si è trattato fino ad ora di scandagli lanciati in un campo così intricato e determinante della nostra storia. Volutamente, non si è voluto dare la sistematicità delle conclusioni solo celebrative; sappiamo che anche la più preziosa lastra marmorea finisce, purtroppo, per porre chiusura a una storia come a una vita.

Il modo frammentato con cui si è proceduto ha toccato il tema del "ritorno a casa" e del momento di trapasso tra occupazione e liberazione del territorio persicetano. Si è voluto privilegiare, dire lo spunto e l'attacco del dopoguerra, non senza l'ambizione di evocare quel diffuso senso di uscita dalla tragedia e la speranza di tempi primaverili, per una grande promessa di valori umani e di pace. Nel caso presente, cambia il registro. Si tratta della storia di un persicetano lungo l'arco della guerra bisognerebbe dire meglio delle guerre vissuta e descritta di corsa, con un modo spezzato e in action, come se si trattasse di uno sceneggiato per un film.

La cosa sorprendente, tutta da assaporare, consiste nella mancanza di consapevolezza da parte dell'autore: non c'è la malizia delle gesta e dell'artefatto libresco. Le diverse situazioni stanno a tanti quadri di come gli italiani, non solo persicetani, hanno vissuto nella guerra. Non tutte le scene sono di azione. Il laboratorio di modellismo romano, dove il nostro persicetano era capitato per sentir ragionare di bombe astruse, è una perfetta metafora teatrale della retorica guerrafondaia. Al contrario, l'esperienza della spedizione italiana in Russia con l'Armir è vissuta dal nostro come una cosciente e profonda osservazione delle circostanze, come in un percorso di presa di coscienza sulla guerra, più che una partecipazione alla stessa.

 Incredibile, di nuovo a Roma, il nostro si trova tra gli eroici granatieri di Porta San Paolo, appostato dietro a un albero con un fucile in mano; la prima arma impugnata, se non sbaglio. Vengono in mente tante scene del Rossellini, neorealista, di italiani in giacchette strette e impolverate, male armati, lungo le strade straziate delle più importanti città italiane. Poi, segue la scena ampia, quasi paesistica dell'Appennino.

Qui il nostro combatte; e come! C'è l'incontro con i russi, gli stessi che prestano i colbacchi nelle foto di gruppo delle squadre partigiane. Nei boschi e crinali di Montefiorino arriva pure il mito di Stalingrado e della ritirata dei carri armati tedeschi.

C'è una bella distanza con i riferimenti dell'«andare in montagna», ripetuti da più recenti rivoluzionari che mai erano stati in montagna, e mai ci sarebbero andati.Al fondo, una considerazione.

Alberto è stato uno dei pochi persicetani a ritornare a casa armato, senza la retorica con cui le armi erano state distribuite ed esaltate a tanti compaesani all'entrata in guerra; da lui ci viene l'esempio dell'addio alle armi e del ritorno a quel banco di modellista per ricostruire macchine di pace.

Alberto è stato un "duro", come si dice di nuovo; quando la contrapposizione è stata veramente durissima e i tedeschi presidiavano blindati il nostro Appennino.

Io l'ho conosciuto un po' dopo, quando, trasformate le armi in aratri, di duro è rimasto soltanto il convincimento del mantenere la pace insieme ai fondamentali diritti della sincera libertà.

E poi... una insostituibile simpatia, da plurisecolare contadino emiliano.

Antonio Nicoli - Sindaco di Persiceto.

 

Tanti anni sono ormai trascorsi dalla fine di quella che oltre ad essere stata la seconda guerra mondiale, ha rappresentato anche per noi italiani un'immane tragedia.

Chiunque si sia trovato in quel guado, ha vissuto una sua personale odissea, trovandosi di fronte a scelte che mettevano a nudo sentimenti profondi come il coraggio, la solidarietà, la paura, l'eroismo, il dolore.
 

Antifascisti impiccati
  Con questa testimonianza ho inteso fissare i miei ricordi, senza alcuna presunzione che non fosse quella di ribadire i sacrifici di una generazione.
Tutto ciò che oggi è goduto come un diritto naturale, senza un atto d'origine, si sappia che invece ha avuto un inizio e un prezzo.
Chi c'era, sa quanto alto; e vuole dirlo a chi è venuto dopo, o non ricorda.

Alberto Cotti

 

Caro compagno generale Armando, in tutte le occasioni che abbiamo avuto d'incontrarci, di vederci, di parlarci, dalla fine della lotta partigiana, sempre a noi tutti, combattenti al tuo fianco, hai fatto insistentemente pressione perchè ognuno lasciasse uno scritto, un ricordo, una testimonianza della nostra lotta, dei nostri sacrifici, dei nostri lutti per quegli ideali di libertà e di giustizia cui ognuno di noi aspirava.

Lo scopo è quello di portare a conoscenza delle giovani generazioni la situazione italiana di quel particolare momento storico, attraverso la viva voce di chi l'ha vissuto, affinchè i giovani possano avere un maggior numero di elementi per giudicare e per riflettere.

Il Generale Armando (a dx)

A distanza di tanti anni, mi sono cimentato, anche se la memoria non è sempre perfetta, specie in quelle sfumature, che seppure interes­santi, non lasciano impressa un'impronta profonda. Ancora una volta ti ho ubbidito; purtroppo con mio grande rammarico, non potrai leggere queste pagine, mai più.


Dartagnan


 

Capitolo Primo - Una generazione di guerrieri e di conquistatori
 
Noi eravamo quella generazione che, secondo gli obiettivi del Duce, avrebbe dovuto fare dell'Italia un popolo di guerrieri e di conquistatori, per cui, fin dall'età di sei - sette anni ci si faceva indossare una divisa (Balilla) e alla domenica mattina ci si recava in Piazza Giosuè Carducci per fare istruzione militare. Inquadrati in diversi gruppi, con in testa alcuni tamburini (figli di gerarchi) affiancati da ragazzini della nostra età, resi graduati dai genitori (anch'essi gerarchi), per tutta la mattinata si marciava avanti e indietro per il piazzale; alcuni erano in possesso di un fac-simile, formato ridotto e giocattolo del modello 58, moschetto in dotazione ad una parte del nostro esercito (gli altri erano ancora dotati del modello 1891). I figli dei benestanti formavano un gruppo a sè, avevano un fucile e disponevano di una divisa più raffinata.
Normalmente venivamo comandati da un gerarca anziano che, in alta uniforme, con cinturone e pistola, stivali lucidissimi, fez fuori ordinanza con tutta la frangetta laterale, si pavoneggiava, passando davanti alla popolazione, facendo anche tintinnare una serie di croci e di medaglie, "patacche" molto spesso avute operando da scritturale, imboscato in qualche distretto o fureria.
Gerarchi in parata

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)