Il Partigiano Dartagnan       

 

 

 


 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

 

Quando tutto il gruppo restava per qualche giorno inattivo, era mia sorella Cotti Rosa che, oltre al vitto, ci portava le novità, altre volte invece era mio cognato Scagliarini Nello.
Un giorno mia sorella mi riferì che la brigata nera mi cercava, avevano bisogno di delucidazioni e che appena avessi potuto, mi fossi presentato al loro comando.
Era un grosso rischio, gli amici mi sconsigliarono, ma io andai ugualmente; mi riuscì bene, ma a mente serena poi dovetti convenire che questo mio atto fu un grosso errore e che non dovevo più giocare con la sorte e quel modo.
Fu l'esonero che ancora possedevo a rendermi tranquillo.

Partii in bicicletta, vestito solo con la canottiera e i calzoni corti.
La caserma-comando allora era l'attuale sede dei Carabinieri, le finestre fortificate con sacchetti di terra, come tutta la parte anteriore che formava una trincea difensiva, in considerazione che altre caserme simili in diversi paesi erano state attaccate di notte dai ribelli.

Quando entrai, notai solo due brigatisti, uno non lo conoscevo, l'altro era un amico, Toselli; assieme eravamo stati con il VII Autoparco, in Russia a Dnepropetrovsk, Stalino, Vorosilovgrad, facendo tutta la ritirata russa.

Fu lui a parlare per primo.
Esordì pronunciando discorsi sulla patria, sull'onore, sull'opportunità di riprendere il posto che con dignità dovevamo mantenere fino alla vicina vittoria.
Mi trattenne l'esonero perchè non più valido.

  Gerarchi fascisti
Erano tante le frasi che pensavo di dirgli, ma mi trovavo nella fossa del lupo, un passo falso e sarebbe stata la fine.
Risposi di sì, ero d'accordo, senz'altro avrei aderito, chiedevo solo cinque minuti, poi mi sarei presentato.
Uscii, ma non mi feci più vedere.
Un giorno Bussolari Bruno (Bevero), tramite Vecchi Enrico mi fece sapere che uno della brigata nera, dietro sua richiesta, avrebbe rifornito la resistenza di munizioni per fucili, il giorno e l'ora erano già fissati, il luogo era a casa del milite, si doveva solo ritirare la merce.
Andai anche questa volta solo, però armato e di un'arma eccezionale, una pistola che, all'occorrenza sparava anche a raffica, calibro nove lungo, con due caricatori. La casa si trovava nel Tígrai, in Via Sant'Apollinare; salii una scaletta corta, bussai e forte pronunciai la parola convenuta, la porta s'aprì, un uomo non tanto alto di statura e che non conoscevo si presentò ed in fretta mi diede una sporta piena per metà di caricatori; lo salutai e me ne andai.
Soltanto dopo la Liberazione seppi che lo chiamavano "Polli".
Passai in bicicletta davanti alla caserma, vi era un milite solo, mi riconobbe, non disse nulla, forse perchè si rese conto che ero troppo franco.
Però da quel momento anch'io fui braccato, giorno e notte, a volte era impossibile avere contatti.
La sorveglianza a Tito era continua, non poteva mai presentarsi a casa, così dopo un lungo dibattito sull'opportunità o meno, decidemmo all'unanimità d'inviarlo in una formazione organizzata ed operante lontano da Persiceto.
Anche la base, scelta nel casotto sui terreni della Partecipanza, con l'andirivieni di staffette (per recapitarci cibo da parte di mia sorella Rosa o del marito Nello), poteva dare adito a sospetti e quindi ad eventuali rastrellamenti.
Inoltre, per entrambi, essendo molto attivi, stava diventando troppo pesante restare rintanati tutto il giorno o quasi.
Sapevamo che un altro gruppo operava nei dintorni, quello di Brunello e dei fratelli Fini e che, a questi ultimi addirittura era stata bruciata la casa da parte della brigata nera.
I rischi che si facevano correre alla popolazione della Permuta, per rastrellamenti, ogni giorno che passava, erano sempre maggiori, se noi due ricercati fossimo ulteriormente restati in zona.
  La casa bruciata; donne seppelliscono un partigiano.
 Sapevamo che questo gruppo aveva la base nella Palata (località confinante con Crevalcore).
Unirci a loro?
Era cosa fattibile, anche perchè Brunello era un mio lontano parente e i componenti stessi erano tutti o quasi amici o conoscenti.
Ma l'unirci a loro non avrebbe risolto i problemi che tanto avevamo dibattuto e per i quali si era deciso di cambiare zona.
Incaricammo allora Cotti La Mòsa che, in qualità di elemento di collegamento, ci procurasse la possibilità di avere contatti con formazioni operanti lontano da Persiceto.
 
Dopo breve tempo, venne alla nostra base; aveva fatto un buon lavoro, se volevamo andare, possedeva un recapito in Romagna: quello del gruppo abbastanza numeroso ed organizzato dei Fratelli Corbari, che si diceva operante nella zona di Gambettola.

In Romagna

Decidemmo di partire, La Mossa ci diede un nome, un indirizzo ed una parola d'ordine.
Un mattino, Tito ed io, dopo esserci procurati una giacca con tante toppe, un cappello di paglia, vecchio e sporco di verderame, usato tante volte per irrorare le viti, con in spalla una zappa per uno, c'incamminammo a piedi, attraverso i campi, verso la Romagna.
Eravamo due perfetti agricoltori, si dava l'impressione di ritornare a casa dai campi dopo il lavoro e quando ci si avvicinava ad una strada ove era qualche passante, fingevamo, nell'andare, di essere molto stanchi, fermandoci anche qualche minuto per riposarci; questo al mattino, poichè al pomeriggio non vi era bisogno di fingere (eravamo stanchi veramente!).

  Manifesto fascista sprezzante Corbari
Nel percorso si cercava di scegliere le capezzagne fra una proprietà e l'altra, cosa facile da intuire in quanto, a quei tempi, quasi tutti i campi, ai loro confini, avevano una spessa siepe di biancospino prospiciente le strade con bei cespugli fitti ed alti.
Dico "avevano" perchè queste siepi ora non esistono più nei campi e allora rappresentavano un riparo ed un nascondiglio agli appartenenti ai G.A.P e alle S.A.P che, dopo aver seminato chiodi a quattro punte o effettuato atti di sabotaggio, potevano sottrarsi immediatamente alla visuale.

I nazisti, dopo aver sperimentato, a loro danno, quest'aspetto, purtroppo si affrettarono a porvi rimedio, ordinando l'abbattimento di tutte le siepi.
Si abbatterono le siepi, ma non per questo cessarono i sabotaggi!
Noi quindi nell'andare seguivamo il resto degli arbusti tagliati, questo perchè il proprietario del fondo vedendoci e non conoscendoci fosse portato a pensare che avessimo rapporti di lavoro con il contadino confinante.
Era un camminare un po' "a zig-zag", per evitare le case, in quanto in diverse abitazioni di campagna vi erano accantonati dei tedeschi e quando vedevamo una divisa presso qualche casa o per la strada ecco che ci mettevamo a zappare finchè la divisa (tedesca o di brigata nera) non fosse sparita.

Passammo nei pressi di un casolare e non ci accorgemmo che in esso vi erano tedeschi, li vedemmo all'improvviso, tre o quattro uscirono dalla casa, si fermarono a guardarci, prontamente noi ci mettemmo a zappare. Uno di loro entrò, ne uscì con un uomo in borghese, probabilmente il proprietario.
Noi continuammo il nostro lavoro, "con la coda dell'occhio", vedevamo il tedesco che, additandoci, discuteva con la persona in borghese.
Questi capì "al volo" la situazione, dopo un po' tutti rientrarono.
Come se la fosse cavata non saprei dirlo, certo è che ci fece superare un momento alquanto difficile e rischioso.

Avevamo preso con noi un po' di cibo, ma non ci fermammo a mangiare, lo si fece camminando.

Nel pomeriggio inoltrato, chiedendo informazioni, arrivammo all'indirizzo che avevamo: era anche questa una casa colonica, ampia, con una lunga loggia centrale che attraversava tutta la costruzione, con porte a destra e a sinistra ed una scala larga nel fondo.

Chiamammo, uscì un uomo attempato, pronunciammo la parola d'ordine e raccontammo la ragione per cui eravamo andati.
Non ci fece entrare e non ne palesò il motivo.
Lì, davanti al portone spalancato, ci disse:
- Guardate, se proprio volete andare nel gruppo Corbari, io vi ci faccio arrivare, però ve lo sconsiglio.
 - Come, ce lo sconsiglia? -
E qui si dilungò ad illustrarci che negli ultimi tempi vi era stata una scaramuccia con i tedeschi, il gruppo se l'era cavata bene, non aveva subito gravi perdite, ma ne erano nate divergenze e contrasti nell'interno del gruppo stesso, per cui ci sconsigliava di aggregarci.

Non chiedemmo altro, si fece dietro front e, con lo stesso sistema dell'andata, ci apprestammo al ritorno.

    Impiccagione del Partigiano Corbari

Fatti pochi chilometri, essendo ormai sera, dovevamo pensare per il pernottamento. Bussammo ad un'altra casa colonica e a chi ci aprì, dopo esserci assicurati che non vi fossero tedeschi, raccontammo che eravamo stati rastrellati proprio dai tedeschi e che, dopo essere fuggiti a piedi, cercavamo di ritornare alle nostre case (questi fatti allora erano all'ordine del giorno).
Chiedemmo se per quella notte potevamo dormire nel fienile. Ci invitarono dentro, ci fecero cenare assieme a loro, dopodichè, non avendo posto migliore da offrirci e scusandosi, ci portarono nel fienile.
Stanchi come eravamo, ci addormentammo subito, non sentimmo neanche le zanzare che sciamavano intorno a noi a nugoli, ce ne accorgemmo al mattino, poichè tutte le parti scoperte del corpo erano piene di puntini rossi.
Ringraziando il contadino, al mattino, ci rimettemmo in viaggio, per tornare nel nostro casotto sui terreni della Partecipanza.

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)