Il
Partigiano Dartagnan
Capitolo
primo
Capitolo
Secondo
Capitolo
Terzo
Capitolo
Quarto
Famiglia Cotti
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Mussolini scende in campo Poco dopo le diciotto Mussolini si affaccia al balcone, la folla sottostante
saluta ed applaude.
Il Duce, da perfetto attore, con le mani
sui fianchi, osserva per un po' in silenzio, poi con una
mano alzata chiede
la calma, quindi dà inizio al suo discorso. |
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Mussolini scende in campo |
"Combattenti di terra, di
mare, dell'aria, camicie nere della
rivoluzione e delle legioni; uomini e donne d'Italia,
dell'Impero, del Regno d'Albania, ascoltate.
Un'ora segnata
dal destino batte nel cielo della nostra patria.
L'ora delle decisioni irrevocabili. La
dichiarazione di guerra è già stata consegnata
agli ambasciatori di Gran Bretagna e
di Francia.
Scendiamo in campo contro le democrazie
plutocratiche e reazionarie dell'occidente, che in ogni
tempo hanno ostacolato la marcia e
spesso insidiato l'esistenza
del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si
possono riassumere in queste
frasi: -Promesse, minacce, ricatti e alla
fine quale coronamento dell'edificio, l'ignobile
assedio societario di cinquantadue stati. La nostra coscienza è
assolutamente tranquilla.
Con voi il mondo
intero è testimone che l'Italia del Littorio ha
fatto quanto era umanamente possibile per
evitare la tormenta che sconvolge
l'Europa, ma tutto fu vano. Bastava rivedere
i trattati per adeguarli alle
mutevoli esigenze della vita delle
nazioni e non considerarli intangibili per
l'eternità. Bastava non iniziare la svolta politica delle garanzie che si è
palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno
accettate.
Bastava non respingere la proposta che
il Fhurer fece il 6 ottobre dell'anno
scorso, dopo finita la campagna di Polonia.
Ormai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi e i
sacrifici di una guerra gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire
ferreamente lo impongono, poichè un grande popolo è veramente
tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle
prove supreme che determinano il corso della storia.
Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo i
problemi risolti dalle nostre frontiere confinanti, il problema delle
nostre frontiere marittime. Noi vogliamo spezzare le catene di ordine
territoriale e militare che ci soffocano nel nostro
mare, poichè un popolo di 45 milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso agli oceani.
Questa lotta gigantesca non è che una fase, e lo
sviluppo logico della nostra rivoluzione è la lotta
dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente
il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei popoli
fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto; è la lotta
tra due secoli e due idee.
Ora che i dadi sono stati gettati e la nostra volontà ha bruciato alle
nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente
che l'Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa
confinanti per mare o per terra: Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia,
Egitto prendano atto di queste mie parole.
Dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o
no rigorosamente confermate.
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io
dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico
si marcia con lui fino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con
la Germania, col suo popolo e con le sue meravigliose forze armate.
In questa vigilia di un evento di portata secolare
rivolgiamo il nostro pensiero alla maestà del Re Imperatore che, come sempre, ha interpretato
l'anima della patria.
E salutiamo alla voce il Fhurer, il capo della
grande Germania alleata. L'Italia proletaria e
fascista è per la terza volta in piedi, forte, fiera
e compatta come non mai.
La parola d'ordine è la sola, categorica e
imperativa per tutti. Essa già
trasvola e accende i cuori, dalle Alpi all'Oceano
Indiano. Vincere e vinceremo!
Per dare finalmente un lungo periodo di pace con
giustizia all'Italia,
all'Europa e al mondo.
Popolo italiano corri alle armi e dimostra la tua
tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore". |
Ne seguì una grossa ovazione.
Il mattino dopo ci recammo al lavoro, come al solito, ma
nessuno lavorava, tutti facevano commenti, gli operai nei loro reparti, perchè
per uscire, occorreva una medaglia speciale da appuntarsi al petto, che
soltanto il caporeparto rilasciava e solo per giustificato
motivo, dopodichè valutava il tempo di assenza e quante volte l'operaio si
assentava in un giorno (ovviamente per recarsi al water).
Se uno veniva trovato senza medaglia erano
le solite due ore di multa e vi era un
addetto a questo lavoro, un sorvegliante che
per tutto il giorno aveva il compito di
girare per l'officina.
I capi invece si
potevano riunire, discutevano sulle carte
geografiche d'Italia ove, ai confini con la
Francia, in matita rossa o blu, avevano
segnato le loro previsioni per le prossime
avanzate dell'esercito.
Passando i giorni, oltre alle cartine, incominciarono a
progettare armi, le più strampalate e nello stesso tempo
ingenue possibili.
Io facevo il modellista, eravamo in tre dentro un vano di
dieci metri per quindici circa; era il nostro un reparto a
sé.
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Duce |
Nessuno
poteva entrare ad eccezione dei progettisti, i quali
venivano ad accordarsi con noi per la costruzione degli
eventuali modelli. |
Proprio il luogo del mio lavoro, per
questa sua particolarità, divenne meta di tutti quelli che in azienda
avevano compiti direzionali, per discutere dei progetti da loro
ideati.
Mi facevano costruire prototipi di cannoni, mettendo
in evidenza tutti i pregi che la loro nuova e futura creazione
possedeva rispetto alle armi esistenti.
Un giorno venne uno dei massimi dirigenti aziendali, Cav.
Anfossi, non ho mai saputo quale fosse la sua funzione, si presentò a me siccome ero il più
giovane fra i modellisti e quindi, a suo dire, più moderno; cosa poi
c'entrasse la modernità era un mistero. |
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Avanguardisti |
Distese su un banco un foglio con disegnata una bomba
d'aereo di sua invenzione, era vista da sopra, da sotto,
nelle varie sezioni, con segnate anche le eventuali
quote.
Io dovevo riportarlo in scala a trenta centimetri.
In che cosa consisteva la novità?
Era una normale bomba d'aereo, alla quale aveva inserito
alettoni di coda elicoidali, perchè potesse scendere
roteando su se stessa, ma la novità era che tutt'attorno,
lateralmente e nell'interno erano insediati tubi di lancio,
armati a loro volta di proiettili.
La bomba, toccando terra, faceva scattare le cariche di
lancio di tutti i proiettili sistemati al suo interno, i
quali, con congegno a tempo, fatti cento metri, a loro volta
scoppiavano, dopodichè anche la bomba contenitore doveva
scoppiare.
Questa era l'idea, mancava solo il modo di farla funzionare.
Non se ne fece nulla, nè di quella, nè di tutte le altre
diavolerie che sulla carta tanti "caporioni" avevano
progettato, e siccome si erano intensificate le discussioni,
la direzione fece stampare un manifesto da affiggere in
tutti i reparti dove era scritto: "Qui non si fanno
discussioni o previsioni di alta politica od alta strategia,
qui si lavora!" Quando tornai dal fronte trovai i cartelli
là, sempre al loro posto, assieme alle persone; valeva il
motto: "Armiamoci e partite". |
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