C'eravamo da poco installati, stavamo studiando la
maniera di fortificarci, quando d'improvviso,
c'investì una gragnola di cannonate. Era un fuoco
tambureggiante, proiettili di tutti i tipi si
abbatterono sulle porte delle abitazioni e quindi su
di noi.
Ma
dove hanno preso tanti cannoni í "crucchi"
(tedeschi)? - ci chiedevamo. Non si poteva
resistere. Restare a Rocca Corneta voleva dire morte
certa per tutti.
Ci
mettemmo in contatto con il comando, comunicando che
rimanere significava il nostro annientamento. -
Sgombrate! - fu l'ordine e sempre sotto a quell'infernale
cannoneggiamento ci ritirammo. Arrivati a Lizzano
apprendemmo che chi sparava era l'artiglieria
alleata. Un ordine sbagliato? Mah! - Comunque quella
rimase terra di nessuno.
Il nostro comandante generale Armando, a novembre,
fu chiamato a Roma dal governo italiano allora in
carica e gli fu consegnata la bandiera;
ufficialmente, da quel momento, eravamo truppe
d'assalto del rinato esercito italiano. Gli fu
conferito il grado di Generale, tutto in forma
solenne, sull'Altare della Patria, vennero
riconosciuti tutti i gradi ai componenti la brigata:
ufficiali, sottufficiali, graduati. Non solo Armando
fu ricevuto a Roma, ma anche altri comandanti
partigiani, come Bulov che operava verso la Romagna.
Durante il ritorno, su macchina italiana con la
bandiera e tutti i lasciapassare in regola, Armando,
arrivato a Firenze, fu arrestato con tutta la
scorta, dalla polizia alleata e messo in prigione.
Forse perchè era comunista? Forse per errore?
La notizia arrivò a Lizzano come una bomba, tutti i
partigiani si portarono davanti al comando alleato,
armati di tutto punto, urlan¬do:
- Armando libero, Armando con noi! - Fu una
manifestazione imponente. Uscì un ufficiale
trafelato - Calma ragazzi, calma! - disse - è stato
senz'altro un errore, fin d'ora vi chiedo scusa a
nome del comando e già mi sono interessato per
chiarire il disguido.
Due ore più tardi Armando era fra noi, riunì tutti i
partigiani e, dopo aver ringraziato per la
mobilitazione, illustrò il risultato dell`incontro
col governo italiano. Per quanto riguardava
l'arresto la polizia americana aveva chiesto tante
scuse anche a lui, poi l'aveva scortato fino a
Lizzano.
Fu concordato con gli alleati che noi avremmo tenuto
un tratto di fronte in rappresentanza dell'esercito
italiano e che essi stessi avrebbero accettato di
considerarci cobelligeranti.
Oltre al nostro settore a proseguire il fronte vi
erano í neozelan¬desi e per tutto l'inverno
trascorremmo tre giorni in prima linea e tre giorni
a riposo in paese.
Nei tre giorni al fronte avevamo scelto alcune case
in prossimità delle postazioni, nelle quali si
mangiava e, quando tutto era calmo, a turno si
poteva anche dormire. Di notte si costituivano
pattuglie di ricognizione, come avveniva anche fra i
tedeschi, nella terra di nes¬suno e quando due di
esse si individuavano o anche solo una veniva
scoperta da una postazione avversaria, d'incanto il
cielo s'illuminava di bengala e ne nasceva una
sparatoria infernale con tutte le armi:
caratteristiche erano le raffiche di mitragliatrice
che, ogni dieci proiettili ne avevano uno
tracciante, sembravano una serie di grosse lucciole
che sí rincorrevano per cercare un bersaglio.
Durante il congiungimento con gli alleati molti
partigiani si erano congedati. Fu quindi necessario
il riordino e il rinquadramento dei rimanenti. Io
ero comandante alla compagnia Morselli, ero rimasto
poichè la pleurite, anche senza molte cure, era
alquanto migliorata;
non avevo febbre e non sentivo più quella specie di
pesantezza sotto i reni.
Ogni
tre giorni quindi si partiva da Lizzano e si andava
in prima linea e, come già detto, giorno e notte si
intercalavano quattro ore dí guardia e altrettante
di relativo riposo nelle case già menzionate; vi era
un coordinatore sul posto. Anche qui al comandante
era asse¬gnato un locale apposito, al piano terra
della scuola della Querciola, riparato da un ampio
terrapieno scavato nella montagna; nell'inter¬no vi
era un tavolino, su di esso il telefono e la radio
trasmittente.
Il telefono era collegato con tutte le postazioni di
prima linea, con il comando generale di Lizzano e
con gli alleati, per tutte le necessità quali:
artiglieria, aviazione...
Un mattino, dopo esser stati svegli tutta la notte,
ío al telefono, Serrazanetti di guardia, mi feci
sostituire dal vice per un po' e con Serrazanetti ci
recammo al piano superiore per riposare qualche ora.
Per terra ví erano due reti metalliche da letto,
solo appoggiate, senza alcun rialzo; ci sdraiammo
sopra e in pochi attimi cí si addormentò.
I tedeschi, chissà per quale ragione, incominciarono
a sparare con i mortai; ci svegliammo, ma non ci
demmo peso, poichè il proiettile del mortaio,
scendendo verticalmente avrebbe colpito il tetto e
noi avevamo altri due piani sopra il nostro, perciò
ci riaddor¬mentammo. Dopo un po' íl risveglio
improvviso, tutta la casa aveva tremato, guardammo
dalla parte del Belvedere e notammo che dal muro,
subito sotto alla finestra, vi era un buco dí una
quarantina dí centimetri di diametro. Cí guardammo
in faccia. - C'era quando siamo saliti? - Non mi
sembra - fu la risposta, e nel contempo uno strano
odore. La camera era vuota, guardammo sotto di noi,
fra la rete e il pavimento vi era un proiettile
lungo una quarantina di centi¬metri, la spoletta
mezza. rotta emanava uno strano odore. Ormai era
fatta, l'avevamo scampata bella, ma poichè sapevamo
che non era un proiettile a tempo, ci rigirammo a
dormire.
Dopo due mesi di prima linea nella zona della
Querciola, gli alleati ci inviarono a Pescia per un
periodo di riposo. La formazione Morselli, che io
comandavo fu installata, come tutte le altre in
abita¬zioni civili sufficientemente capienti.
Il proprietario del fabbricato che ci fu assegnato
era un professo¬re insegnante a Pescia. Ci mise a
disposizione una camera grande che, molto
probabilmente, in tempo di pace, fungeva da sala da
pranzo ed una camerína normalmente adoperata dalla
più piccola delle figlie, di quattordici-quindici
anni.
Portammo nella stanza grande una trentina di brande,
fra l'una e l'altra si passava appena, nella più
piccola mettemmo il cuoco con la moglie.
La ragazzina, quando seppe che nella sua camera
avrebbe dormi¬to una donna, andò su tutte le furie,
non voleva assolutamente; mi mandò a chiamare,
esigeva a tutti i costi che ci andassi io.
In tutti gli eserciti i comandanti dormono e
mangiano da soli, hanno anche l'attendente e il loro
compito è quello di dare ordini, oltre che "trattare
da fessi i subordinati". Quelle persone non aveva¬no
capito che cosa significasse essere partigiani, ex
ribelli. Spiegai quindi che ero partigiano come
tutti gli altri, che fra noi non vi erano differenze
e perciò avrei dormito e mangiato assieme agli
altri. Chiarii anche che la donna che andava a
dormire nella camera della ragazza non era una
partigiana qualunque, ma regolarmente sposata e
vivente con il marito. La convinsi, specie mettendo
in evidenza le azioni militari effettuate dalla
donna unitamente ad altre tre, che per alcuni mesi
erano state con noi, sostenendo i combattimenti e i
disa¬gi come tutti.
Dopo pochi giorni venne a mancare il comandante di
battaglione (per postumi di una ferita). Il comando
generale riunì tutti i coman¬danti di formazione, i
vice comandanti e i commissari per eleggere il
sostituto. Fui eletto all'unanimità comandante del
1° battaglione.
Dopo l'insediamento, sentii il dovere di visitare
tutte le formazio¬ni che ne facevano parte ed
intrattenermi coi partigiani per cono¬scerci meglio.
Le formazioni erano la Morselli, la Ruozzi, la
Piccoli, la Tabacchi e la Roveda; quest'ultima era
la più distante, accantonata ín un castello vero e
proprio, con merli e torrione.
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