Il
castello era stato abbandonato dai proprietari,
forse in attesa di tempi migliori o perchè
costituiva la residenza estiva.
Vi si trovava però un maggiordomo con tanto di
livrea che, essendo solo, fungeva
anche da custode.
Egli non voleva í partigiani, li vedeva di malocchio
e affinchè se ne andassero, metteva in evidenza che
si era lontani da tutti, isolati e che per
raggiungere un centro abitato e divertirsi un po'
occorreva fare svariati chilometri.
Ma l'argomento sul quale insisteva maggiormente era
la presenza degli spiriti nel castello.
Andai quindi a visitare anche quel gruppo seppure
lontano, conseguentemente prevedevo di trascorrere
la notte assieme a loro.
Io entrai, i partigiani sapevano della mia visita ed
il ritrovarci fece piacere a tutti.
Ci mettemmo in cerchio a conversare di tante cose e
dei momenti passati, alcuni anche divertenti, fino a
che si arrivò a parlare della loro sistemazione al
castello e dei rapporti con il maggiordomo.
Mi risposero che non vi erano più problemi,
accennarono solo agli spiriti.
- Come gli spiriti? - chiesi - L'ha detto il
maggiordomo!
- Effettivamente si sentono di notte rumori strani,
porte che si aprono, a volte sembra un muoversi di
catene -
E voi che fate? - replicai.
In modenese mi risposero: - No a durmèn! (Noi
dormiamo) -
Rimasi anch'io quella notte, non sentii rumori
strani, ma ad una certa ora, una porta s'aprì, non
c'era nessuno.
E sì che nella porta c'era la maniglia.
Comunque feci come gli altri, dormii saporitamente;
l'importante era che non ci fossero allarmi o
attacchi improvvisi dei tedeschi, altro che spiriti!
Al
mattino ripartii e, appena arrivato al comando,
Armando mi fece chiamare; mi recai immediatamente da
lui e mi fu comunicato che a giorni il battaglione
sarebbe tornato al fronte.
Dopo un paio di giorni infatti alcuni camion alleati
vennero a caricarci e partimmo per la prima linea.
Durante il viaggio non avemmo incidenti, ci
dispiaceva soltanto non tornare al fronte della
Querciola, che ormai ci era famigliare e dove ormai
eravamo in grado di operare anche al buio,
conoscendo bene il luogo ed ogni piega del terreno.
Ci avevano aggregati, di rinforzo, alla brigata
Costrignano, subendo anche la divisione del
battaglione.
Infatti la Morselli che, per diversi mesi avevo
comandato forte di cinquanta partigiani, rimase a
Pescia.
Terminò così il mio periodo di riposo, il
battaglione fu diviso ed in parte rispedito al
fronte in previsione di una offensiva primaverile.
La
compagnia Tabacchi assieme al vice comandane di
battaglione fu rimandata a Vidiciatico a rinforzare
la brigata Fulmine la quale teneva un tratto di quel
fronte.
Ed io, in qualità di comandante di battaglione,
unitamente alle compagnie Piccoli, Roveda e Ruozzi,
fui inviato sul fronte di Lizzano Pistoiese.
Precisamente a Lizzaneta a rinforzare la brigata
Costrignano anch'essa su un tratto di fronte.
Il nostro coposaldo principale era sul monte
Spigolino, una cima alquanto rocciosa.
Il nemico era anch'esso appostato fra le rocce a
Cima Tauffi, ma siccome avevamo previsto proprio in
questa zona il passaggio della linea gotica, vi si
trovava un vero fortino con feritoie e camminamenti,
dotati anche di mortai.
In quelle postazioni noi rimanevamo anche per otto
giorni dopo di che altri partigiani ci sostituivano
per un uguale periodo mentre ci riposavamo a
Lizzaneta.
Quando si era al fronte su monte Spigolino la
partenza dall'accampamento era al mattino da
Lizzaneta sotto Pistoia e, per tutto il giorno era
un salire prima fra terreni coltivati, poi più in
alto fra immensi e fitti boschi con una serie di
tornanti su un sentiero, che si era formato al
nostro passaggio.
Aumentando la quota finivano gli alberi e rimanevano
solo macchie di arbusti spinosi e radi, sempre più
radi fino a giungere ove c'era solo roccia ricoperta
di spessa neve e di ghiaccio fino ad aprile
inoltrato.
Un tratto di circa duecento metri, là dove finiva il
bosco, restava scoperto dalle postazioni nemiche,
specie quella di Cima Tauffi, inquadrabile alle loro
armi pesanti; tutte le volte che si passava da quel
luogo il nemico ci dava il benvenuto a colpi di
mortaio, ma era per loro una soddisfazione magra
poichè noi, ormai abituati, sentivamo il colpo di
partenza, il sibilo del proiettile in discesa e
distinguevamo dal sibilo stesso a che distanza
sarebbe scoppiato; comunque ci riparavamo sempre per
non essere colpiti dalle eventuali schegge.
Da
questi attacchi non abbiamo mai avuto perdite.
Soltanto una volta, dopo una settimana di prima
linea, appena avuto il cambio, stavamo scendendo e
proprio in quel punto incontrammo la consueta
colonna di alpini (nuovo esercito italiano), addetta
al nostro vettovagliamento.
Come al solito cominciò l'attacco dei mortai.
Sentimmo il colpo di partenza, il sibilo che si
avvicinava, poi più nulla.
- Questo è vicino! - si gridò.
Tutti ci stendemmo riparati fra le rocce, partigiani
ed alpini appena in tempo, poichè la granata scoppiò
vicinissima, l'unica vittima fu un mulo.
Provarono però una grande paura quei poveri alpini,
tutti del Meridione, inoltre per loro fu il
battesimo del fuoco.
Quando, a metà aprile venne l'ordine di passare
all'offensiva, il battaglione da me comandato si
trovava a Lizzaneta ed aveva terminato la settimana
di riposo, quindi toccava a noi attaccare.
Poco dopo la mezzanotte, controllato tutto
l'armamento, partimmo per Monte Spigolino, era la
solita strada percorsa tante volte ed anche al buio
non potevamo sbagliare.
Arrivammo alla cima che era ancora notte fonda.
Ci fermammo un dieci minuti per riposarci e per
informarci dai partigiani in postazione di eventuali
novità - Tutto come al solito - fu la risposta.
Sapevamo che i tedeschi avevano una difesa sul monte
chiamato Libro Aperto, quella era la prima
dislocazione da attaccare.
In doppia fila indiana sui due cigli del costone,
distanziati gli uni dagli altri di cinque o sei
metri, partimmo con le armi spianate, passammo un
piccolo rialzo e ad un centinaio di metri vedemmo la
postazione, restammo con gli occhi fissi su di essa,
per renderci conto subito se il pericolo era
immediato.
Nessun segno di vita.
Avanzammo, sempre attenti, in quanto poteva essere
una trappola per lasciarci avvicinare di proposito.
A
ncora niente.
Con passo più spedito ci avvicinammo, poi entrammo:
la zona era deserta, i tedeschi l'avevano
abbandonata.
Si capiva però che la loro partenza era avvenuta da
poco.
Andammo oltre ed arrivammo al passo della Croce
Arcana: era questo un passo per modo di dire perchè
di fianco ad una piccola depressione e su un rialzo
di roccia vi era una grossa croce di ferro.
Non so perchè sia stata messa in quel luogo.
Lo chiamavano passo forse per la ragione che da qui
partiva un viottolo il quale, dopo un lungo percorso
tortuoso, andava ad unirsi ad un secondo sentiero
per arrivare a Cima Tauffi, fortificazione questa
facente parte della linea gotica.
Se i tedeschi fossero scesi da quel viottolo noi ci
saremmo trovati tra due fuochi.
Decisi quindi di mettere due partigiani appostati al
passo; uno era il mitragliere con relativa
mitragliatrice e l'altro l'aiutante, un ragazzo di
sedici anni.
Era buio, diedi loro la parola d'ordine con
l'accordo che sarei andato a riprenderli
personalmente ad azione finita.
Salutai e partimmo.
Io e Tito, commissario della brigata Costrignano,
portammo i partigiani in avvicinamento.
Raggiungemmo un costone liscio e pulito, era un
calanco terminante in una cresta sopraelevata.
Dietro quella cima ognuno di noi scavò una fossa e
dentro ci mettemmo ad aspettare poichè, essendo
quasi giorno, attraversare quella piccola
sopraelevazione significava esporsi al fuoco diretto
del nemico, infatti tutto il tratto davanti a noi
era privo di qualsiasi possibilità di riparo.
I tedeschi s'accorsero della nostra presenza e
c'investirono con un'infernale sarabanda di colpi di
mortaio.
Noi eravamo inchiodati là, senza alcuna possibilità
di manovra, occorreva aspettare il buio per
attaccare.
Allo scopo di saggiare il nemico mettemmo la bustina
(eravamo sprovvisti di elmetto) in mostra, oltre il
terrapieno, sostenuta da scaglie di roccia.
Subito una gragnola di proiettili da mitragliatrice,
sibilanti, passò sopra di noi.
Capimmo quindi che, oltre alla fortificazione Tauffi,
molto più a destra, una mitragliatrice incrociava il
fuoco con la prima.
Era opportuno aspettare dentro quella buca, senza
muoverci durante tutta la notte senza dormire.
Col passare delle ore iniziò a farsi sentire un
certo rilassamento.
Ad un tratto però un botto tremendo mi scosse, un
colpo di mortaio, scoppiato a meno di un metro, mi
aveva letteralmente coperto di terra e di scaglie di
roccia.
Un braccio mi sanguinava, l'esaminai, era solo un
graffio, provocato forse da un frammento di roccia.
Aiutandomi con i denti e l'altra mano, annodai il
fazzoletto e tutto finì lì.
Ma si doveva ancora aspettare, era snervante quell'attesa.
Verso le due del pomeriggio un banco di nebbia basso
e fitto si posò sul costone, coprendoci alla vista.
Non si vedeva assolutamente nulla.
Presi allora l'improvvisa decisione di attaccare.
Come da disposizione data due partigiani armati di
bazooka, lanciandosi di corsa nella nebbia,
arrivarono ad una cinquantina di metri dalla
postazione tedesca con le armi già cariche, si
fermarono, s'inginocchiarono e scaricarono i colpi
contro di loro.
Nel frattempo altri partigiani si erano portati
sotto il fortino, lanciando all'interno delle bombe
a mano, mentre noi, avanzando di corsa, sparavamo
brevi, ma continue raffiche di mitra.
I tedeschi, confusi nella nebbia, rispondevano al
fuoco con raffiche sparate a caso. Tito ed io con
due gruppi di uomini li accerchiammo ed entrammo
dalla parte posteriore del fortino.
I soldati tedeschi erano tutti morti.
Di corsa raggiungemmo il rimanente del gruppo e ci
contammo, avevamo solo un ferito.
Decidemmo di cercare l'accantonamento tedesco, che
trovammo in una villetta lì vicino.
La circondammo.
Nella nebbia udimmo il suono di un grammofono a
molla che proveniva dall'interno.
- Ci sono -dicemmo io e Tito.
Facemmo irruzione immediatamente. Al piano terra
nessuno, in cantina nessuno, al piano superiore
nessuno.
Intanto il grammofono esaurì la sua carica, cessò la
musica, era stato per pochi minuti; questa volta la
nebbia aveva agevolato la fuga.
Sentendosi ormai perduti, erano fuggiti lasciando
tutto.
Era
già notte fonda quando andai a ritirare i due amici
lasciati di guardia al sentiero. Avevano udito gli
spari, i colpi di mortaio, le raffiche delle
mitragliatrici, ma se ne erano stati lì fermi,
sdraiati nelle neve, senza mangiare, senza bere,
nell'incertezza dell'esito dell'attacco, ad
aspettarmi, come avevo ordinato.
A cento metri, sentendo i passi, intimarono l'alt.
Mi feci riconoscere più per la voce che per la
parola d'ordine.
Risposero, m'avvicinai, quindi chiesi: - Come va
ragazzini? - e loro di rimando, pulendosi le
ginocchia dalla neve - Mah, è un po' freschino! -
Questo fu l'ultimo mio combattimento. |