Il Partigiano Dartagnan       

 

 


 

 

 

 

Il Partigiano Dartagnan

Capitolo primo

Capitolo Secondo

Capitolo Terzo

Capitolo Quarto

Famiglia Cotti

 

Saltuariamente, quando al comando veniva comunicato da informatori il passaggio di truppe sulla via Giardini, sempre di notte, si preparavano imboscate con un numero ristretto di partigiani, massimo una formazione.
Ci si appostava dove la strada faceva una doppia curva con tratto rettilineo, si piazzava una mitragliatrice all'inizio, una alla fine.
Si scaglionavano gli altri a monte della strada, armati di mitra e bombe a mano.
I tedeschi erano sempre in colonna su mezzi meccanizzati oppure in truppa su cassoni.
A dare il via era la mitragliatrice di testa, immediatamente ne seguiva un inferno.

Raffiche di mitra e bombe a mano per pochi minuti si abbattevano sulla colonna, poi noi sparivamo, spesso facendo decine e decine di chilometri, per tornare alla base.
Ad eccezione dei paesi abbastanza grossi quali: Pavullo, Zocca , Montese, Gaiato, non esistevano grandi concentramenti di nazifascisti. Tutti gli altri centri erano fortificati (specie dalla brigata nera) negli alloggiamenti con muretti alle finestre, nelle piazzole con sacchi di terra a semicerchio o più ampiamente a mo' di vera e propria trincea.
In molti casi il presidio, venendo a conoscenza della vicinanza di formazioni partigiane, abbandonava tutto.
   Partigiani si apprestano all'azione
Vi era un piccolo paese, di cui non ricordo il nome, dove il presidio, composto da venti militi, aveva indugiato, forse perchè chi lo comandava si credeva al sicuro, forse per paura di disubbidire alla consegna.
Avvenne che una delle nostre formazioni ebbe l'ordine di far sgombrare quel presidio.

I partigiani partirono nel pomeriggio avanzato, arrivarono al paese a notte fonda.
Un gruppo ebbe l'ordine di circondare la caserma, l'altro di entrare silenziosamente. Neutralizzate le due sentinelle di guardia questo irruppe nello stanzone dormitorio.
Fu tale la sorpresa che nessuno reagì al comando di alzare le mani. Così, dopo averli disarmati, si prese il loro nome e cognome con l'intimazione che, se ritrovati in armi una seconda volta, sarebbero stati fucilati.
Ed uno alla volta, dopo aver sequestrato anche le divise, furono fatti uscire e mandati quindi a casa.

Fuori ormai era l'alba, il primo gruppo, quello che in precedenza aveva circondato la caserma, si era disposto in doppia fila all'uscita e ad ogni brigatista che passava in mutande, erano calci nel sedere e schiaffoni.
Certo è che se la situazione fosse stata inversa, loro ci avrebbero fucilato.
In quel gruppo di brigatisti neri (leggendone la lista), ne trovai uno di Persiceto, che conoscevo molto bene, non ne faccio il nome perchè ormai deceduto.
Non era comunque una cattiva persona.
In diverse occasioni nell'attaccare caserme o presidi ci si imbatteva in militari, quelli che per non vedere il padre arrestato rispondevano al bando Graziani.
Un giorno attaccammo la caserma a Pavullo, facendo prigionieri proprio una decina di questi militari che rimasero con noi, divennero partigiani e come tali si batterono fino alla fine.
Anche fra questi vi era un persicetano, abitava a Castagnolo (il nome forse era Toni).

Una delle maggiori difficoltà era reperire l'alimentazione per tutte le persone.
Si mangiava quello che c'era, a vent'anni si ha sempre fame. Il pane, quando si trovava, era insipido e per mangiarlo nel latte ci voleva tanta fame.
Si compravano mucche e maiali per farne spezzatini, ai possidenti si dava una ricevuta, ove era stampato;
"Brigate Garibaldi, Divisione Modena" con il timbro della brigata e la firma di chi personalmente aveva avuto l'animale; le ricevute furono tutte pagate dal governo italiano.
Ai contadini pagavamo molto spesso in contanti, che ci pervenivano tramite il Comitato di Liberazione Nazionale e che erano frutto di sottoscrizioni da parte di migliaia di lavoratori secondo le possibilità e che, in qualche modo, erano legati alla resistenza.
Nelle campagne persicetane vi erano addirittura dei collettori appositi, quali Medeo il sarto (Via Permuta - Lupria), Martini Enrico ed altri.
Prevalentemente si raccoglieva farina di castagne, si mangiava cotta sulle braci e a volte asciutta, in polvere, mentre si camminava nei tanti trasferimenti e questo era un mangiare arduo e difficoltoso.
L'ottanta per cento dei partigiani (le Brigate Garibaldi erano di ispirazione comunista), portava un fazzoletto rosso al collo, ma va messo in evidenza che di questi comunisti in ogni formazione ve ne erano non più di due o tre, gli altri forse lo sono diventati dopo, ma il fazzoletto rosso era soprattutto un simbolo di antifascismo.
E questo intendevano sottolineare quelli che lo portavano.


Combattimento di Sassoguidano

Erroneamente altri scritti riportano date diverse di questo avvenimento.
A Sassoguidano fu il 21 settembre alle ore 12,30 circa; si aspettava che chi fungeva da cuciniere dicesse: - Pronto -, quando verso Verica si sentì una raffica di mitragliatrice, breve, ma poi sempre breve si ripeté, seppure ancora lontano; era un attacco.
Scattò l'allarme, ognuno in una postazione già predisposta.
Si saltò il pasto del mezzogiorno.

La nostra squadra doveva guardare un vallone ripido per 200 metri, ma che poi dolcemente saliva di fronte a noi fino ad arrivare ad una strada.
La zona era chiamata Gallina Morta e forse anche ora ha questo nome.
La strada si trovava fuori tiro, ma con i cannocchiali si vedevano a gruppi tedeschi scendere dagli automezzi e armeggiare negli zaini, poi di corsa scendere la scarpata dolce; nessuno sparò; continuarono a scendere, arrivati a 200 metri da noi, Nicoli ordinò il fuoco.
  Partigiani in marcia
La mitragliatrice e i fucili li inchiodarono al terreno.
- Anche chi non era colpito, se la mitragliatrice non s'inceppava - dicevamo - non sarebbe passato. - La mitragliatrice non s'inceppò.
Dopo un paio d'ore sentivamo però dalla provenienza degli spari che in altre zone erano passati, sapemmo poi per mancanza di munizioni da parte nostra.
Gli spari si avvicinarono sempre più, finchè arrivò una staffetta a cavallo portante l'ordine di ritirarsi oltre il fiume Panaro.
Facemmo partire dapprima la mitragliatrice con l'aiutante; si doveva, di corsa, attraversare un prato di circa 200 metri al centro di un bosco, nel quale si sentivano degli spari; ormai era quasi totalmente occupato dai tedeschi.
Il mitragliere partì di corsa, noi vedevamo chiaramente dai colpi sul terreno, che facevano schizzare pezzetti di terra ed erba, che nel bosco avevano concentrato la loro fucileria.

I nostri arrivarono indenni alla fine del prato ed ormai al coperto dalla macchia, proseguirono per il punto prestabilito oltre il fiume a circa quattro chilometri.
Poi, ad intervalli tutta la squadra fece la corsa, in ordine sparso con la disposizione di non fermarsi, se uno cadeva.
Penultimo fu Nicoli, io ultimo.
Mi assicurai bene il fucile e le bombe a mano, presi la rincorsa e partii.
Sentivo vicinissimi fischiare i proiettili, ogni tanto vedevo, di fronte o di fianco, a pochi metri, il terreno che a piccoli "sbuffi" si alzava; arrivai al bosco.
Fino a quel momento nessuna perdita, neanche un ferito.
Fatti pochi metri al coperto, mi fermai, respiravo a fatica, mi riposai, poi, approntato il fucile, guardingo e cauto, incominciai ad avanzare.
La sparatoria era quasi finita, qualche colpo isolato si sentiva in tutte le direzioni.

Arrivato alla fine del bosco vidi alla mia destra, a circa 300 metri, un fienile in fiamme con alcune persone (tedeschi) che sbraitavano e vi giravano attorno.
Io dovevo puntare al fiume, guardai e, proprio su quello che doveva essere il mio tragitto, scorsi un armato in piedi, allo scoperto.

Tedesco? Partigiano? Impossibile! Ero l'ultimo.
E siccome di là dovevo passare, con l'arma pronta, m'incamminai cercando a sbalzi di ripararmi dietro a cespugli di more o di altri frutti che là crescevano.
Quando fui ad una certa distanza lo riconobbi: era Tito.
Gli diedi voce e ci unimmo, iniziando la discesa verso il fiume.
- Ma senti - gli chiesi mentre infilavo un canalone che ci proteggeva
- cosa facevi là solo, quando tutta la brigata era oltre il fiume? -
- T'aspettavo, non volevo tornare in Permuta da solo -
Questo era Serrazanetti Alessandro detto Tito!
  Rifugio partigiano
Percorsi 200 metri il canalone finiva, ero davanti ed allungai il collo per vedere se oltre ve ne fossero altri, una gragnola di pallottole fischiò dove c'era la mia testa che però ora si era ritirata.
Il canalone c'era a una decina di metri e si protraeva fino al fiume.
- Dobbiamo passare. - Feci retrocedere Tito, presi la rincorsa ed in un attimo fui dentro all'altro canalone.
Fitte fischiarono le pallottole, ma troppo tardi; avanzai di alcuni metri per lasciare posto a Tito che sarebbe arrivato di lì a pochi secondi, questa volta fischiarono ancora più numerose, ma oramai eravamo passati.
Giungemmo al fiume e ci unimmo alla colonna partigiana, che iniziò lo spostamento, marciando fino alle due circa dopo mezzanotte.
Perdite avute: nessuna, un ferito al viso (Penna Bianca).
Dopo un paio d'ore di marcia, secco un "Chi va là" s'udì da un bosco; un attimo e si era pronti per il combattimento; poi tutto fu chiarito.
Un'altra colonna partigiana, anch'essa in fase di spostamento, ci aveva incrociato, chiedemmo se vi erano dei persicetani, ed in effetti se ne trovavano diversi: Galinen, Fortunen (Casarini), Brighetti, Forni ed altri.
Mi furono presentati da Tito in quanto io non li conoscevo. Una stretta di mano, un "In bocca al lupo" e continuammo ognuno per la propria strada.

 

 

 

Brigate Garibaldi - Divisione Armando - Il Comandante di Battaglione Tenente Dartagnan (Alberto Cotti)